16 novembre 2007

Fiocco spampanato in casa omfaloscopia

Oggi esce lui:


E' praticamente figlio di Omfaloscopia (ci perdonerà la Feather), perché frutto di una cooperazione tra Omfa2, il primigenio ghost-writer del sito (aka bradipo pittato) e la sempreverde Flores. Il libro non verrà sicuramente inserito nelle liste dei capolavori letterari, perché è uno pseudofantasy con storia d'amore per quindicenni, un bel "3 metri sopra il vampiro" per intenderci. Però, visto che siamo in un mondo dove regna il capitale, sempre più spietatamente (stai a vedere che Guccini ha scritto anche se alla fine Bella sceglierà il licantropo Jakob o il vampiro Ed?) bisogna festeggiare, perché venderà parecchio.

Non ci siamo affezionati molto a questa creatura, perché questo scarrafone non è bello nemmeno a mamme soje. Però bisogna riconoscere che è venuto bene (sempre che certi interventi assurdi del revisore finale siano stati emendati), di certo meglio dell'originale e meritiamo davvero un plauso, perché una traduzione a sei mani, in genere, è una schifezza. L'esperimento è riuscito e ha pure dimostrato che le vere amicizie non si rompono nemmeno per un congiuntivo.

Mi sa che oggi farò un salto in libreria. Trai fan vestiti da vampiro e da lupo ci sarà una tipa vestita da co-traduttrice che si guarda l'ombelico.

21 ottobre 2007

Lector in blog



Siccome siamo sostenitrici assulute del “fai quell che cazo – con una zeta sola fa figo – ti pare”, per un po’ siamo sparite. Forse ce ne andremo di nuovo, forse torneremo prestissimo, forse punto e a capo.

Oggi abbiamo qualcosa da dire, e lo diciamo.

Ci fa piacere sapere che continuate a seguirci anche se latitiamo. È bello sentire l’affetto di chi ci conosce a anche quello di chi non sa nemmeno chi siamo. Ci fa piacere quando rispondete e dimostrate di non aver capito assolutamente nulla di quello che abbiamo scritto, ma interagite. Bello, bellissimo. Perché se c’è una cosa che apprezziamo di quel trombone di Umberto Eco, è la sua concezione del lector in fabula. Secondo il suddetto trombone un testo è incompleto senza l’intervento di un lettore che ne riempia gli spazi vuoti con la sua attività inferenziale. Nel blog i commentatori sono lì per rendere detto il non-detto, magari per dire anche dei non-detti che non c’entrano nulla coi non-detti di partenza, ma viva la comunicazione, viva il detto all’ennesima potenza.

I nostri primi post – quelli che i nostri esegeti futuri definiranno i post del post-Norwich – presupponevano un grande intervento dei lettori. Erano l’apoteosi del non-detto. Poi col tempo, la maternità e la didattica siamo diventate divulgative. Anche se non ce n’era bisogno, perché ci pensano già Piero Angela e Alberto Angela. E c’è pure la mia amica Angela che ci ha letto per tanto tempo.

Siamo diventate divulgative perché ci siamo accorte che si stava diffondendo il germe della dietrologia. E cioè: avranno detto questo perché intendevano quest’altro, o avranno detto questo perché pensavano che intendessimo quest’altro però volevano che capissimo quest’altro ancora? C’era chi voleva vedere chissà quali messaggi occulti nei nostri post: li leggevano allo specchio come le copertine dei dischi dei beatles, o li ascoltavano al contrario, per vedere se dicevamo che dio è morto.

Questo post è per dirvi che siamo davantologiche, cioè vi mettiamo davanti quel che siamo senza mezzi termini né maschere, ma non diventeremo mai nazionalpopolari.

26 agosto 2007

ta-dan!

Guccini dice che uscire di scena perché il pubblico ti chieda il bis e rientrare tra gli applausi, schermendosi e facendo finta di essere lusingati da cotanto affetto, è da fighetti. da secoli, oramai, canta dio è morto e se ne va, ma davvero. noi, invece, diciamo che uscire e rientrare dopo gli applausi è da eleonoradusici.

però, siccome sappiamo che non potete fare a meno di noi (lo abbiamo visto dai tanti messaggi, pubblici, privati, anonimi e finti anonimi), torniamo. omfaloscopia riprende le trasmissioni (applausi e gesto di chi si schermisce, ma per finta, no, via, non fate così, maddai, va bene... sì, forse lo sappiamo che vi siamo mancate, mannò... riapplausi e fe-de-ri-ca-chia-ra-fe-de-ri-ca-chia-ra, ola e standing ovation) ma in forma diversa.

siccome le amicizie trai grandi del passato sono sempre sfociate in epistolari, e siccome noi non ci scriviamo lettere, ma comunichiamo quotidianamente via Skype, abbiamo deciso di tenere omfa come espressione di tali dialoghi. del resto molti dei post sono nati così, ed è giusto che la consuetudine resti.

federica e chiara continueranno a parlare di sé, rispettivamente in vivi come parli ed egolalìa chiara e tonda – chi non è interessato alle vicissitudini dell’una o dell’altra potrà evitare di farci un giro – ma esprimeranno qui, più o meno una volta alla settimana, quello che si dicono in privato, per la gioia di tutti i loro numerosissimi e bellissimi fan (e forza omfaaaaaa, e siamo bellissimiiii... ora distribuisco anche i gadget, qualche reliquia e tanti, tantissimi nocchini, dati bene ça va sans dire).

è un po’ come quei gruppi i cui componenti ogni tanto fanno delle cose da soli, ma poi tornano a cantare insieme (giusto per fare un nome, ultimamente i Police, sempre siano lodati, nonostante il pisano di Stinghe). o come i nostri idoli Wu-Ming, che ogni tanto scrivono qualcosa in quanto singoli, senza dimenticare il loro splendido, mitico, incommensurabile collettivo artistico.

mi sa che ci vedrete pure all’isola dei famosi, prima o poi. chiamano sempre qualche velina, qualche letterina, chiameranno anche qualche omfaloscopina.

21 agosto 2007

27 luglio 2007

chiuso per omfaloscopia

in un momento in cui un po’ tutti chiudono per ferie, questo blog ha deciso di chiudere per riflessioni, divergenze, omfaloscopie, insomma, per i fatti suoi.

ci fermiamo per un po’ a meditare sul valore di quel che scriviamo, sull’eventualità di chiudere definitivamente, di riaprire sotto altre forme, di fare un po’ quel che ci pare.

grazie a tutti per la compagnia, anche per i commenti, per i bei momenti e anche per quelli meno belli. in fin dei conti, è la vita.

come si dice in questi casi? vi faremo sapere.

26 luglio 2007

la felicità...

...a volte sta in un

quasi

detto al momento giusto.

till the fat lady sings

sarà che in quest'ultimo anno ho messo su un po' di ciccia, sarà che ultimamente mi sono sorpresa a fare cose buone e giuste per poi chiedermi "ma perchè"?, sarà l'imperativo categorico non va più di moda, sarà che l'anafora e i rimandi colti fanno sempre la loro porca figura, soprattutto nei blog: come franny e zooey ho deciso che da adesso in poi ogni mia azione sarà in onore della signora grassa.

i puntini sulle Chiara Jolie


(ecco, così ora l'ombelico me lo guardate tutti)

stamani chiaccheravo con un mio caro amico (lungo e pelato, alla faccia sua) e siamo finiti a parlare di Omfaloscopia, del mio rapporto col blog e dell’immagine che trasmetto di me tramite questo mezzo. Chiara Jolie, secondo il mio amico Andrea, è una che se la tira perché può farlo, una bellona col cervello,orgogliosa delle sue curve e della sua (presunta) superiorità intellettuale. siccome non sono affatto d’accordo, vorrei sgombrare il campo da fraintendimenti e mettere in chiaro un paio di cose.

firmandomi Chiara Jolie non intendo affatto dire che sono bella quanto una diva hollywoodiana. in realtà tutto nacque quando, durante un tentativo di approccio tanto goffo quanto destinato a fallire, mi fu detto che somigliavo a qualcuno. senza pensarci su troppo dissi: ‘certo, me lo dicono tutti, sono la sosia di Angelina Jolie’. ma avrei potuto ugualmente dire Sharon Stone, Pippo Baudo, Raffaella Carrà (anzi, visto il fianco pronunciato, l’età e il ruolo di icona gay, mi sa che ci andiamo parecchio più vicini) o Luciano Moggi (no, via, non esageriamo). la persona con cui stavo parlando non afferrò l’ironia e, tanto per non smentirsi e continuare con il broccolamento, confermò. la Feather era lì vicino, ci abbiamo riso su una settimana e da lì è nato il mio nick.

lo so, mi firmo pure chiaradavinci e anche questo può sembrare presuntoso. ma non ho colpa io se sono nata e cresciuta nel borgo leonardiano e mi chiamo davvero Chiara. il soprannome nacque ai tempi di Friburgo, il mio cognome era impronunciabile e i tedeschi mi chiamarono così per distinguermi dalla mia inseparabile amica chiaradiroma, che è senza dubbio più bella, più intelligente e pure più simpa... no, simpatiche uguali.

premesso questo, non posso dire di non stare bene nella mia pelle. ho avuto un’infanzia che farebbe morire di invidia i bambini delle pubblicità del Mulino Bianco, sono sana, non mi manca nulla, ho un cervello funzionante, una famiglia meravigliosa, un marito che mi adora, un Marlonbrando che è sempre lui, un cane che è arrivato persino a volermi bene, un sacco di amici e sono presidentessa onoraria del club antionanofrenico e bicchieremezzopienistico mondiale. perché non dovrei essere soddisfatta?

dal punto di vista fisico, come tutti, ho i miei difetti. ho il naso a patata, i capelli troppo ricci, il culo abbondante, la seconda di reggiseno e da quando è arrivato il capoccione pure un po’ di pancetta. embè? mi concentro sui pregi (che sono altrettanti) e vivo meglio, da brava pragmatica toscana cresciuta in una famiglia che i problemi non se li è mai andati a cercare.

anche dal punto di vista caratteriale ho i miei difetti. sono fumina, come si dice dalle mie parti, egocentrica, da brava figlia unica, e pure un po’ altezzosa. embè? chi mi frequenta (nella vita reale o in quella virtuale) è invitato a metterli accanto ai miei pregi (altrettanti, ma non sta a me elencarli), fare un bilancio approssimativo e valutare. chi apprezza è accolto a braccia aperte, chi non apprezza sa dov’è la porta e può pure evitare di cliccare su omfaloscopia.blogspot.com


24 luglio 2007

Quanto ci piace chiaccherà...

Quando ho avuto l'idea balzana di iscrivermi qui, mai e poi mai avrei pensato che questo luogo di perdizione avrebbe potuto avere degli effetti sconvolgenti sulla mia esistenza.
In una settimana la mia già lunghissima lista della spesa presso la libreria Rinascità è cresciuta a dismisura. E meno male che sto male, ho un figlio e un sacco di lavoro, perché altrimenti avrei già speso un capitale.

Ho scoperto delle belle monografie sul mito di Narciso (potrebbe essere anche un bel regalo di Natale per diversa gente), di Elena (be', pure questo, in un certo senso) e di Edipo-con-l'accento-sulla-e (ne ordino un camion), un volume di prose montanelliane (grazie Isa), cose sparse di Calvino, Beppe Viola e qualche sorpresa strepitosa.

Ho dato anche un'occhiata ai forum, ma sono troppo snob per mischiarmi al comune volgo leggente. Vi ho trovato però una di quelle domande stupide, ma che piacciono tanto a chi ama chiaccherare, e ve la ripropongo (no, non è una catena, potete rispondere nei commenti, farci a vostra volta un post, non rispondere affatto o mandarmi affanculo, tanto oramai è diventata disciplina olimpica):

Quali sono i tre personaggi letterari che ricordate di più e perché?

Io ho escluso subito Benjamin Malaussène, perché ne ho già parlato anche troppo, e tutti i personaggi di Brecht, perché sennò mi date dell'intellettuale impegnata.
Siccome non amo stilare classifiche di sorta (né nella vita, né nel lavoro, ma forse dovrò abituarmici se va in porto quella cosa delle Olimpiadi), scrivo i primi tre che mi vengono in mente:

1) Remedios la bella di Cent'anni di solitudine (Gabriel García Marquez) per la sua morte, diciamo pure icarica e molto invidiabile;

2) Handa di Una solitudine troppo rumorosa (Bohumil Hrabal) perché si beffa del destino: dovrebbe per lavoro distruggere i libri, e invece ne crea in continuazione (antitetico e rompicoglioni pure lui, tiè!);

3) la vecchia Phoebe del Giovane Holden (J. D. Salinger) e non solo perché si chiama come l'unico gatto cui ho voluto veramente bene.


(non c'entra nulla, ma mi auguro per lui e per noi che torni presto a giocare come un tempo)

23 luglio 2007

be'



qualche settimana fa sono andata al museo d'arte moderna di roma.
tra tutti i quadri della mostra sul simbolismo questo è stato quello che mi ha colpito di più. per la luce tersa del mattino, per il titolo, lo specchio della vita.
e le pecore, la pecora nera, il tema dello specchio, il procedere verso sinistra, la luce di un nuovo giorno sono tutti simboli che evocano simboli che richiamano altri simboli sui quali si potrebbe riflettere in eterno.

sono settimane che taccio in questa sede e che parlo troppo in altre. augh. ho detto. perle alle pecore.
i paroletari di tutto il mondo sanno capire quando il silenzio è veramente d'oro.

22 luglio 2007

paroletari di tutto il mondo...

sono oramai quasi due anni che ripetiamo che le parole sono importanti. hanno il potere di renderci felici o infelici e dobbiamo usarle bene. e visto che noi le parole le inventiamo pure, chi le usa bene lo chiamiamo paroletario.

un paroletario è chi non possiede niente, solo le sue parole. pertanto le deve trattare bene. deve rispettarle, coccolarle, investirle nel modo migliore, farle fruttare, regalarle, impacchettarle, infiocchettarle, vivere di esse, amarle. e con loro amare il prossimo. e, prima di tutto, se stesso.



paroletari di tutto il mondo, amatevi!

20 luglio 2007

19 luglio 2007

da Vinci's kitchen

Pur non essendo amanti delle catene, accogliamo volentieri l'invito della fantasmagorica Isadora e presentiamo una delle due omfalocucine (la mia collega Feather potrebbe imitarmi e intitolare il post "pane, Aceto e fantasia". sì, lo so, è orrenda).

La cucina è stato un po' il cuore di ogni appartamento in cui ho abitato. Tendo a farci il nido, forse perché per me cucinare è sempre stato un modo per legarmi agli altri. Adoro coccolare i miei amici preparando i loro piatti preferiti, lascio assaggiare le mie specialità (il pollo al coriandolo, il risotto alla cubana o la torta finta di pere e cioccolata) solo alle persone moooolto speciali e lascio assistere giusto pochi eletti alle magie preparatorie, ça va sans dire.

Da quando c'è il capoccione, spignatto molto meno. O meglio, lo faccio ancora, però in maniera molto più frugale e organizzata. Ma l'età dell'oro tornerà (sto con Virgilio e la sua visione ciclica della storia) e io ricomincerò a prendere tutti anche per la gola (non solo per i... fornelli).

Visto che senza di lei non riuscirei ad aprire gli occhi, il giro inizia dalla Natalina



ultimo regalo del dring. Fa un caffè denso e schiumoso, che io bevo al mattino e durante il giorno nerissimo e alla sera, a volte, con buccia di limone e una spruzzatina di cannella, come ci ha insegnato un nostro amico delle Canarie.

Poi un altro amico inseparabile: il Thermomix



regalo che tritatagliafrullaimpasta della suocera (mi chiedo spesso se con questi regali vuole insinuare qualcosa, ma credo di no. Cioè lo spero). Strumento indispensabile nei primi mesi di vita del capoccione. Ora no, preferisce ciucciare gli ossi delle rosticciane.

Una panoramica dell'angolo cottura



Purtroppo la qualità delle immagini è scarsa e il rosso Ferrari sembra dare sul rosa. Però vi assicuro, quando apro il frigo (qui sotto immortalato accanto al pezzo estraibile che noi chiamiamo colonna infame)



si sente un bel wroooooom e l'appetito infuria.

Il giro si conclude nell'angolo preferito di Pulcinea e del capoccione, che sempre più spesso ha la bocca piena di croccantini al pollo



Non passo la palla a nessuno. La lancio in aria, e la prenda chi vuole (mi dispiace solo che la Barbchen non abbia un blog, perché vedrei volentieri il lambertìde allungato in azione).

18 luglio 2007

La più brava parrucchiera del mondo

All'età di cinque anni ero conscia del potere disumano che esercitavo sulle persone. Un esempio? Mia cugina, di due anni e mezzo più piccola. Un giorno le dissi che ero la più brava parrucchiera del mondo e che glielo avrei dimostrato.

Penso sia chiaro che non mi ritengo brutta, anzi, sono convinta di avere un aspetto più che gradevole e che la mia Ausstrahlung mi renda addirittura bellissima, però, lo ammetto, mia cugina è sempre stata oggettivamente bella. Neanche allora avevo dei complessi nei suoi confronti, però ho dato una mano alla natura. L'ho seduta su una poltrona, e, in virtù delle mie abilità manuali, le ho tagliato i capelli.

Lei ha sempre avuto una valanga di capelli corvini, forti, folti, lunghi e resistenti. Decisi che la frangia le stava bene e iniziai a tagliare. Venne un po' storta, quindi l'aggiustai. Aggiusta di qua, aggiusta di là, le feci una pettinatura che sul davanti ricordava quella di Lina Wertmüller.

Quando mia zia ci scoprì, scoppiò un putiferio. "Chiara, l'hai stragiata!" E mia cugina, prontamente: "Sì, mamma, però lei è la più brava parrucchiera del mondo."

Memore di queste ultime parole, stamani ho deciso che i capelli del Capoccione erano ormai troppo lunghi. Ho preso la macchinetta e ho tagliato.



Visti i risultati, mia cugina era davvero scema.

17 luglio 2007

Ene, mene, muh...

Stamani, mentre facevamo colazione, il superlativo compagno Besserossi della mia cara amica Scim-Mi Tofu si è spalmato dello stracchino sul pane. Gli è piaciuto molto e questo, se possibile, me l'ha reso ancor più simpatico.

Quando gli ho spiegato l'etimologia della parola - deriva da stracco, perché si fa utilizzando il latte di mucche stanche, ricco di ormoni speciali che rendono il formaggio cremoso e acido - ha risposto quanto segue:

a) in Germania non sarebbe permesso stremare gli animali per motivi così futili
b) vi siete chiesti quali effetti hanno sul corpo umani questi ormoni di mucca stanca?

(logo del Verein zur Verteidigung der Müdeküherechte)


Adoro lo stracchino, ma sono ancora più affascinata dal modo di ragionare dei tedeschi.

16 luglio 2007

Tu mi fai girar, tu mi fai girar...


Sebbene secondo il dring io sia abilissima nel darle la vuelta a la tortilla, finora mi era riuscito bene solo metaforicamente. In genere la rigiro appoggiandola su un piatto, ma stasera, mentre cucinavo per i miei amici tedeschi (ossia lei è mezza coreana e lui Ossi), finalmente mi è riuscito far roteare in aria la mia bella frittatona spagnola senza farla cadere a terra.

Modestamente, son soddisfazioni.

15 luglio 2007

Giardinaggio benefico

Nel corso delle nostre numerose conversazioni via Skype – sempre sia lodato – Featheryca e io abbiamo delle intuizioni fuori dal comune. In questi giorni ci è occorso un neologismo diciamo curativo, effettivo, lenitivo dell'anima:

la necrocladotomia

ovverosia il taglio dei rami secchi, l’eliminazione di quelle fronde che dal punto di vista affettivo o personale non sono più vitali ­– se mai lo sono state – e tolgono solo energia alla pianta. Certe cesure non sono mai indolori, richiedono forza fisica e morale, intraprendenza e decisione, ma il sollievo dopo è incredibile.


Zac! Un colpo di forbice decreta la fine dell'emorragia energetica.

E la vita riprende, leggera e frivola, chiassosa e pensante.

14 luglio 2007

un libro ti cambia la vita

gente, leggete.

i libri aprono la mente e aiutano a pensare. insomma, fanno bene.

potrebbero farne anche di più, però. in questo caso Fiesta di Hemingway avrebbe potuto aiutare il genere umano a liberarsi di due coglioni come questi fratelli americani.



immagino la goduria durante il volo di ritorno.

13 luglio 2007

Fatti due calcoli...


(eccomi)

Mi sono tornate le coliche ai reni e sono andata dal medico che mi aveva visitato in dicembre. In anticamera avevo appena ripassato la mia anamnesi da snocciolare tipo Sartiburnichfacchetti... , ma lui (napoletano trai 45 e i 50, sovrappeso galoppante) mi ha fatto accomodare e con un sorriso a 36 denti mi ha detto: "Allora, Chiara, quel rene destro Le ha dato più problemi?" Nonostante ci avesse preso, ho pensato che mi scambiasse per qualcun'altra e gliel'ho fatto notare. Mi aveva visto solo una volta, tra l'altro giusto per dieci minuti e non poteva ricordarsi di me.
Illuminante la sua risposta: "Si metta nei miei panni. Un urologo vede in genere pazienti maschi ultrasettantenni con problemi di prostata, come vuole che faccia a scordarmi un fiore come Lei?".

Contributo quotidiano al bicchieremezzopienismo omfaloscopico: anche i calcoli ai reni in fin dei conti hanno un loro perché. Un complimento del genere fa piacere anche alle portatrici sane di ego dilatato come la sottoscritta.

11 luglio 2007

Se sto fermo...




...forse non vede dove mi sono infilato.

10 luglio 2007

Giusto un anno fa

Giusto un anno fa la mia vita è cambiata radicalmente.



Giusto un anno fa, mentre Grosso tirava quell'ultimo rigore e Materazzi la famosa capocciata (era destino), iniziarono le doglie. Mi sa che ero l'unica in Italia che sperava che vincesse la Francia, non tanto per antipatia nei confronti di Lippi e Cannavaro (o meglio, non solo per questo) quanto piuttosto perché, visto che abito in centro, visto che i caroselli per le vittorie azzurre passano sempre sotto casa mia e visto che sentivo che il capoccione non poteva nascere in un'altra notte, temevo di non arrivare in tempo all'ospedale.

Il dring, ancora convinto che la natura seguisse le sue leggi in maniera diciamo ingegneristica, disse che era solo agitazione, che mancavano ancora 4 giorni alla scadenza e se ne andò a letto. Io decisi di leggere, per ingannare il tempo mentre sotto casa impazzavano i caroselli, e scelsi Buenos Aires horror tour, di Massimo Carlotto, che parla delle madri e le nonne di Plaza de Mayo. Se dovevo soffrire, che almeno soffrissi in compagnia di genitrici che avevano sofferto più di me.

Finiti i festeggiamenti, i duri iniziarono a festeggiare (organizzazione perfetta, è pur sempre figlio di un ingegnere), alle 2,30 andammo in ospedale. Il dring si è comportato splendidamente, si è ricordato di tutte le cose che ci avevano insegnato al corso e le ha messe in pratica da dring. L'ostetrica era esterrefatta, mi ha anche chesto se fosse medico. Io: "No, è ingegnere informatico." Lei: "Ah, questo spiega tutto. Anche se non ho capito bene cosa c'entri un infermiere con l'informatica."

Dilatazione rapidissima, mezz'ora dopo ero già in sala parto e, sinceramente, mi chiedevo cosa ci fosse di tanto terribile nei dolori puerperali. Respiravo come mi avevano insegnato al corso e le doglie manco le sentivo. Poi l'ho capito. Nonostante spingessi con tutte le mie forze, lui non usciva. Secondo la bastarda di ginecologa di turno (certo, quelli bravi erano rimasti tutti a casa a vedere la partita) non spingevo. Certo, se mi avesse fatto l'ecografia di prassi si sarebbe accorta che il capoccione teneva il pugno (sinistro, è pur sempre figlio di sua madre) sulla fronte e magari mi avrebbe episiotomizzato prima. In ogni modo, dopo 3 urli, alle 6,35 del 10 luglio 2006 il capoccione è uscito (come direbbe Woody Allen: da quel posto in cui cercherà di rientrare per tutta la vita, o giù di lì).

Aveva solo la testa fuori e già gridava, poi me lo hanno appoggiato sulla pancia, ha smesso immediatamente di urlare e ha tirato un gran sospiro. La prima cosa che ho visto sono stati i suoi rotoli di ciccia sulla schiena e i capelli (allora) neri. Poi ha tirato su la testa e mi ha guardato negli occhi. Una delle sue occhiate maledette e investigative. Ed è stato amore a prima vista.


P.S. Mentre il medico mi ricuciva, ancora rintronata dal dolore, ho avuto la forza di dire: "Ricucia per bene, tanto non la uso più." Poi, comunque, ci ho ripensato.

09 luglio 2007

Devo ammalarmi più spesso



Oggi sono andata dal medico (mannaggia a lui, somiglia a Gerry Scotti ed era abbronzatissimo, sembrava il presentatore di un Passapalabra caraibico) e ho incontrato la mia bidella delle elementari. L'ho salutata calorosamente, convinta che non mi avrebbe riconosciuto, ed ero anche pronta a spiegarle chi ero, ma mi ha preso in contropiede: "Oddio, Chiara, sei sempre uguale, con quel sorriso contagioso e i riccioletti scuri." Le ho chiesto dei nipoti, delle figlie, degli acciacchi, della quasi vecchiaia e lei si vedeva che era tanto contenta. Io non ho raccontato niente di quel che ho fatto in questi anni, ma a un certo punto lei ha detto: "Sapevo delle lauree, del dottorato, degli anni in giro, e mai mi sarei aspettata che fossi rimasta la stessa bambina bella e semplice di trent'anni fa."

Sarà l'aria condizionata, saranno le placche in gola, sarà la febbre, ma sono due ore che non riesco a smettere di piangere.

08 luglio 2007

Marlon Brando è sempre lui 2

In occasione del viaggio a Berlino il capoccione è rimasto per la prima volta da solo con la nonna, la abuela e una tía (venute appositamente dalla Spagna). Non ero preoccupata, visto che è un bambino tranquillo e sereno, e soprattutto visto che mia suocera è una puericultrice con un master conquistato sul campo (sei figli tirati su senza nonni e senza zii in zona).
Come da previsioni, è stato un tesoro. Ha mangiato, dormito, giocato e fatto tutto quel che doveva fare senza versare neanche una lacrima, né accennare nemmeno un labbrino (o mussillo, mescolino, broncetto, puchero, Schmollmund, tanto per non fare torto a nessuno) . Bello di mamma.

Nonostante abbia apprezzato molto questa escursione in terra germanica, devo ammettere che un pochino mi è mancato. Soprattutto al mattino, quando, ancora mezzo addormentato, con le occhiaie e qualche residuo di notte, mi butta le braccia al collo e mi dice (molto a modo suo) che mi vuole bene.
Ho atteso con gioia il momento del riabbraccio (ora per favore non speculate anche su questo neologismo, pliiiiz), pregustando la gioia nel vederlo farmi le feste e le fusa insieme. Quando siamo arrivati a casa, ha cinto cameratescamente il collo del padre e ha persino fatto una specie di ballo di benvenuto, ha gridato, stretto i pugni, applaudito, battuto i piedi e riso di cuore. Per lui. Per me nulla.

Mi ha ignorato bellamente per due lunghi giorni. Me l'ha fatta scontare. Era come se volesse dirmi: "lui va bene, sta fuori tutto il giorno, ma tu non dovevi farmi questo". Faceva finta che non esistessi, ero trasparente. Con la coda dell'occhio controllava sempre dov'ero, senza però darmi la soddisfazione di rivolgermi una della sue occhiate maledette. Ecco, niente Fronte del porto, niente Tram chiamato desiderio, niente Apocalypse now (meno male anche niente Superman, Marlon nella figura del padre del supereroe



non si poteva proprio guardare). Piuttosto Sayonara, quando lui è arrabbiato con la giapponese e fa il sostenuto. Una tortura.

Ma ecco la svolta. Venerdì ha mosso i suoi primi passi da solo. E' corso per il corridoio tutto soddisfatto, con i suoi sandalini bianchi con gli occhi, orgoglioso come se avesse appena ucciso un leone a mani nude e ha urlato: "Mammaaaaaaa." Pace fu.

E Marlon Brando è sempre lui.

07 luglio 2007

Siete de julio San Fermín

Ultimamente ho avuto spesso attacchi di germanofilia acuta e ho trascurato parecchio quella che in realtà dovrebbe essere la mia seconda patria: la Spagna.

Oggi è San Firmino, uno dei santi più apprezzati in terra iberica, a Pamplona, capoluogo della Navarra e tappa obbligatoria per chi percorre il cammino di Santiago, impazzano i Sanfermines. Ho sempre pensato che San Firmino fosse il patrono della città navarra e che per questo tutta la regione si fermasse in questa seconda settimana di luglio, invece il santo protettore della città è San Saturnino. Questo povero cristo (è proprio il caso di dirlo) ha la sfiga di essere celebrato il 29 di novembre (giorno prima di Sant'Andrea, patrono di Empoli), giorno feddo, buio e umido un po' dappertutto, figuriamoci sull'Atlantico, pertanto i navarri - che insieme ai baschi fanno tanto gli indipendentisti ma quando si tratta di far baldoria sono più spagnoli degli spagnoli - si sono scelti una settimana estiva per ripetere i festeggiamenti. Lutero mi è sempre stato simpatico, ma i tedeschi proprio non ce li vedo a fare una cosa del genere.

La tradizione vuole che la baldoria prosegua tutto l'anno, tanto che basta entrare in un bar di Pamplona e cantare uno de enero, dos de febrero, tres de marzo, cuatro de abril, cinco de mayo (evvai, giriamo il coltello nella piaga), seis de junio, siete de julio San Fermín per trovare qualcuno che ci paga da bere.

I Sanfermines iniziano il 6 luglio, con il lancio del chupinazo, un razzo, e un bel discorso del politico locale che finisce sempre con un linguopoliticamentecorettissimo: "viva sanfermin! gora sanfermin!". Il culmine della festa si raggiunge con l'encierro, la corsa dei tori per le vie del centro. Le povere bestie (anche questo è davvero il caso di dirlo) vengono precedute da corridori pamplonesi esperti, che li guidano a colpi di giornale. Grazie soprattutto a Ernest Hemingway, che ha descritto queste giornate nel suo romanzo Fiesta, a rincorrere i tori sono sempre più spesso anche i turisti, soprattutto americani e ubriachi fradici. Non aggiungo altro.



Dico solo che secondo me le tradizioni vanno rispettate e portate avanti anche con passione, ma nel rispetto degli altri esseri viventi, siano essi a due o a quattro zampe, accada ciò in Spagna o in Italia (Nuwanda, sì, ce l'ho col palio, soprattutto fino a che non ci faranno fondare la contrada del maiale di cinta).

Io sono sempre stata di sinistra e interista, c'è bisogno che dica da che parte sto stavolta?

06 luglio 2007

Zweisamkeit

La prima puntata del mio viaggio a Berlino è dedicata a una di quelle belle parole tedesche che non hanno un traducente in italiano e che piacciono molto alla nostra amica Lise: la Zweisamkeit.

Il Duden la definisce così: das zweisame Leben oder Handeln, dove zweisam vuol dire: gemeinsam, einträchtig zu zweien. Detto in parole povere è una cosa come 'stare insieme, in armonia, in due', ma non basta. Si tratta di un neologismo creato sulla falsariga di Einsamkeit, cioè solitudine. Al posto di quell'ein (cioè uno) iniziale è bastato inserire zwei (ovvero due) per scatenare una rivoluzione semantica che ha dell'incredibile. La Zweisamkeit è quello stato praticamente paradisiaco in cui due entità più o meno senzienti si ritrovano isolandosi dal mondo e bastando a se stesse.

In ossequio alla fama di esimia neologista che ultimamente (e a torto) mi perseguita, oserei tradurre questo meraviglioso termine con 'duitudine'. Ma stavolta devo ammettere il fallimento. Zweisamkeit significar per verba (italiane) non si poria, però l'essemplo basti cui esperienza Marx serba.








(esempio di felice duitudine)

P.S. Se non mi vergognassi a fare battute veramente stupide direi che la Zweisamkeit sul lungofiume di Friburgo si definisce Dreisamkeit.

28 giugno 2007

Amor ch'a nullo amato amar perdona


Come ho annunciato, sabato parto per la Germania. E’ dal novembre del 2005 che non ci metto piede e sono leggermente agitata. In tutte le storie d'amore, stare un po' separati fa bene, ravviva la fiamma e fa capire quanto si tiene all'altro. Ecco, la mia con la Germania è davvero una storia tormentata, di quelle che ci si lascia e ci si prende, si fa pace con passione, per poi litigare di nuovo e tornare a ricercarsi.

Quando vivevo a Friburgo non sopportavo la pioggia. Voglio dire, io sono una che ha sempre adorato le piogge nei pineti e i temporali, l'odore di muschio, di acqua in movimento e di terra bagnata, ma odio il Nieselregen (il mio Biermann chiama così Günter Grass, ci sarà pur una ragione), quella pioggerellina impalpabile (oddio quanto fa blog questo aggettivo), che non sai da che parte parare con l’ombrello, finché poi esci senza, tanto sai che ti bagni comunque. Quel cielo molto e sempre grigio che ti chiedi perché i bambini lo disegnano blu, le lumache sulla faccia, i capelli sempre in disordine e la muffa sotto le ascelle anche a luglio. Non mi dava fastidio che piovesse, ma che non smettesse mai.

E mi dava fastidio anche che nessuno rispondesse ai miei Guten Morgen e ai miei sorrisi, mi dava fastidio che la verdura avesse tutta lo stesso colore (beige stinto) e lo stesso sapore (di poliuretano espanso bollito), mi dava fastidio che il vicino mi rovistasse nella spazzatura per vedere se avevo fatto bene la Mülltrennung, mi dava fastidio che mi seguissero nei negozi fichi perché con l’aria da mediorientale che mi ritrovo temevano che facessi chissà cosa e mi dava fastidio anche il cambio di espressione della gente quando dicevo di essere un cervello in fuga e non un Gastarbeiterkind (parola intraducibile e oscena, corrispettivo vago di ‘figlio di immigrati’).

Ora che sono rientrata in Italia, noto però che sono tante anche le cose che rimpiango. Innanzi tutto l’ambiente multiculti. Il negozio d'antiquariato dei nostri amici afghani, col tè dell'Iran, le crocchette pakistane, qualche Kartoffelsalat, il vino francese, le empanadas argentine, le lenticchie indiane e gli americani simpatici. Non credo che dipenda dal fatto che vivo in un paesotto di 60.000 abitanti, tutta l'Italia è provinciale. Quelle belle facce bastarde da nippocrucco o da germocaraibico da noi sono solo sogni di Veltroni. Mi manca la meritocrazia tedesca, il rispetto per le cose degli altri e per quelle di tutti, mi manca l’università veramente libera (perché, ricordiamocelo, la libertà è prima di tutto partecipazione). Mi manca il Bärlauch in primavera, le gite estive nelle Sträusse, lo Zwiebelkuchen col Neuer Süßer in autunno e la brodaglia schifosa che chiamano Glühwein a Natale. Mi mancano la mostarda e il Meerettich nell'insalata, qualche Biowurst e persino gli Spätzle, che ho sempre visto come i cugini sfigati degli gnocchi. No, l'Apfelsaftschorle non ce la faccio a farmelo mancare. Mi mancano la puntualità delle Strassenbahn, i pantaloni verdi dei poliziotti che, per il mio bene, mi perquisivano il maggiolone ogni due-tre giorni, la flessibilità dei custodi delle biblioteche che, sempre per il mio bene, mi aprivano la borsa quattro volte al giorno e i baffi degli Hausmeister, un concentrato di rompicoglionimento a oltranza.

Ecco, sì, forse mi fa bene tornare in Germania, anche perché poi apprezzerò un po’ di più casa nostra.

(Colonna sonora del post: La lontananza di Modugno e L’Italiano di Cutugno)

rivoltatemi

il 28 giugno del 1991 avrebbe dovuto essere una data storica per me: avrei dovuto sostenere il mio primo esame all'università (tedesco I, con la belva sanguinaria Enrico De Angelis). il condizionale è d'obbligo, perché quella è diventata sì, una data storica nella mia vita, ma per ben altri motivi.

la mattina di quel 28 giugno partii in treno alla volta di Pisa e tornai in ambulanza. con la luce blu accesa (era sempre stato uno dei miei sogni di bambina girare per la città a sirene spiegate). operata d'urgenza, mi sciolsero tre nodi all'intestino (in medichese volvoli al sigma), già che c'erano mi estrassero anche l'appendice (che stava benone, mi è dispiaciuto un sacco) e mi tennero due settimane in osservazione. l'esame fu rimandato a settembre e il dottore mi disse che si vedeva che ero una che faceva sport e stava molto attenta a cosa mangiava, avevo davvero un intestino curato e morbido. e io (che avevo riaperto gli occhi dopo l'anestesia da giusto cinque minuti): l'ho sempre detto che sono bella dentro.


(non è proprio la stessa cosa, ma quant'è bello Javier Bardem!)

27 giugno 2007

come diceva qualcuno...

...beato il popolo che non ha bisogno di eroi.
soprattutto di questi.

viene davvero voglia di darsi al curling, o al tombolo, o di iscriversi al Verein der Kaninchenzüchter. o di emigrare, ma di certo non in Canada.

26 giugno 2007

Ostalgia Ostalgia canaglia



in procinto di partire per Berlino (l'ultima volta che ci sono stata ho scoperto di essere incinta, vediamo che mi tocca stavolta), ho rubato questa meraviglia. ringrazio walking class.

per chi non lo sapesse, Auferstanden aus Ruinen era l'inno nazionale della DDR. testo di Johannes R. Becher (brillante poeta espressionista emigrato in Unione Sovietica ai tempi della dittatura nazi, ebbe problemi perché trozkista, al rientro fece carriera come funzionario di partito e le muse smisero di baciarlo) e musica di Hanns Eisler (che lavorò con Brecht, Tucholski, Strittmatter, Hermlin, fu allievo di Schönberg e musicò poesie di Heine, Goethe, Majakowski e Leopardi).

la versione punk-rock è del gruppo Mia.

24 giugno 2007

Das Leben der Anderen



dai dai ho ceduto e l'ho visto. mi sono retta fino a ora, perché non amo guardare i film o leggere i libri che tutti osannano incondizionatamente. però ieri sera non avevo nulla da fare, il dring mi ha scaricato la versione in lingua originale, finalmente ho trovato la Ruhe necessaria e avevo una voglia incredibile di qualcosa che sapesse di ddr.

l'ho visto e non ne sono rimasta entusiasta.

come ha detto qualcuno, ecco, tu devi fare sempre la Chiara Jolie. certo, ho una reputazione da mantenere, una testolina purtroppo pensante (io ci provo a riciclarmi come velina, ma non mi riesce). e poi chi ha detto che sono bastiancontraria? mi disegnano così.

va da sé che non apprezzo il fatto che un regista Wessi, per quanto giovane e bravo, ci spieghi, da vincitore, da Besserwessi, l'Est.

poi non mi è piaciuto affatto il finale hollywoodiano. va bene essere romantici, ma è impossibile che uno dedichi il libro della riscossa alla persona che l'ha spiato. non è umano. chiedetelo un po' a Biermann (che a suo tempo ha scritto un blues con le targhe delle macchine degli Stasi-Spitzel che lo pedinavano. già che ci siamo, faccio notare che quella storia dell'artista che non produce più senza il nemico, la SED, l'abbiamo già sentita. Biermann arrivato all'Ovest stette un bel po' senza scrivere, dichiarò persino la sua morte come poeta perché gli mancava l'ispirazione senza il divieto. infatti Biermann drüben non poteva pubblicare, né apparire in pubblico, diversamente dal protagonista del film).

non mi piace nemmeno l'immagine naiv e buonista che in fondo si dà della Stasi. non c'erano spie buone, per fare carriera bisognava essere spietati, sceglievano apposta quelli che dimostravano di non avere un briciolo di coscienza. e poi, siccome erano cattivi ma non scemi, mai e poi mai avrebbero lasciato una persona sola a lavorare a un caso.

il poeta è un bamboccione. vezzeggiato e coccolato dal Partito, chiude gli occhi su tutto quello che succede attorno a lui. crede addirittura di essere l'unico artista non spiato dalla Stasi. si sveglia solo dopo che il suo migliore amico, perseguitato, si suicida. un caso patologico.

l'unica cosa davvero bella del film è la storia d'amore tra il poeta e l'attrice insidiata dal Parteibonze (sarò a senso unico, ma ci vedo dietro cose note. c'è chi dice che Biermann fu messo a tacere non tanto per quel che scriveva, ma per la sua storia d'amore con Eva Maria Hagen, madre di Nina, fantastica attrice e sogno di molti). passione pura. amore e morte. e tradimento.

23 giugno 2007

finiranno mai gli esami?



è tempo d'esami (non solo del sangue e delle urine, ultimamente vengo monitorata più del debito pubblico italiano). i miei amici insegnanti sono semidistrutti e i miei amici studenti vanno avanti a caffè.

visto che siamo in modalità amarcord (e visto che fa molto fico, sull'onda del film di Fausto Brizzi) oggi dedico dieci minuti del mio prezioso tempo ai ricordi legati ai primi esami importanti.

1985, terza C, scuola Media Cimabue. tre anni frai campi, da prima della classe allegra e sportiva (non era mai successo che la secchiona vincesse le gare provinciali sia di nuoto che di sci), agli esami ricordo che parlai della macchina fotografica (allora ero convinta che sarei diventata una regista di successo), di Piet Mondrian, della Russia (un prof di lettere molto realsocialista assegnò casualmente a me la ricerca sull'Urss, quando lo incontro ai concerti di Guccini ancora me lo ricorda), dei carboidrati e dei monomi, del Placito Capuano (sao ko kelle terre per kelli fini ke ki kontene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti), delle regole del fuorigioco nel calcio (anche se io avrei parlato più volentieri di Beccalossi), di Beethoven e di 99 Luftballons (in tedesco, natürlich). indossavo una maglia che mi ero fatta da sola, ai ferri, bianca con un'enorme fragola davanti. festeggiai alla Sagra della Chiocciola con la mia amica Vanessa e i miei compagni di banco Fensi e Scozzafava (poche battute stupide, oggi fa il finanziere).

1990, terza B, Liceo Classico Ginnasio Virgilio. cinque anni d'inferno, tra figli di papà, bambine viziate, insegnanti validi e molta invidia. ricordo l'esame di maturità come una liberazione, il giorno dopo che l'Italia era stata eliminata ai Mondiali dall'Argentina, con un gol in cui Canniggia si era preso gioco dei miei idoli Ferri e Zenga. esame molto sereno, rilassato, una chiaccherata sugli incipit foscoliani, sul trasumanar di Dante, che per verba significar non si porìa, sugli scrittori della cristianità latina e su Lucrezio. la prof di scienze venne a sentirmi con le borse della spesa in mano, il bidello cinquantenne - mulatto e napoletano - aveva al collo la sciarpa dell'Inter, mia madre annodava i lacci di una borsa che credeva mia (ma era della presidente della commissione d'esame) e mio padre, stranamente nervoso, girava in bicicletta intorno all'edificio della scuola. portavo una gonna blu a pois bianchi e una camicetta bianca messicana. ero ancora innamorata di Marco, un ex-fidanzato mezzo bolognese e mezzo siciliano, che viveva a Sorrento (lo avevo conosciuto l'anno prima a New York), studiava ingegneria e stravedeva per Nicola Berti. il giorno dopo partii per l'America, poi due settimane in Sardegna, un mese in Francia e l'estate più lunga della mia vita.

(Colonna sonora del post: la canzone di Nena nella prima parte ed El Diablo dei Litfiba nella seconda)

22 giugno 2007

il tempo delle mele



Visto che siamo in modalità anni Ottanta (mentre scrivo mi sono cotonata i capelli, ho messo l'ombretto sotto le sopracciglia e le spalle imbottite alla maglietta che uso per stare in casa), ripenso a un film che ha fatto sognare tutte noi adolescenti di allora: Il tempo delle mele. Una cagata pazzesca. Una mocciata (ricordo pure il seguito, con Pierre Cosso, quanto mi piaceva con la sua bella faccia da ritardato mentale miope) figlia del suo tempo. Dreams are my reality eccetera eccetera.

Oggi i ragazzini sono molto più svegli. Saranno le Braz che hanno sotituito le Barbie (immagino le generazioni future, cresciute con le Brazipe), gli ormoni nei polli, l'effetto Chernobyl, ma sono terribilmente più svegli di noi ragazzini degli anni Ottanta. Noi a quattordici anni sognavamo il principe azzurro, questi a otto anni sono molto più concreti.

Da quando è iniziata la bella stagione vado spesso al parco con la belva e con una mia amica che ha un figlio di tre anni. Il Capoccione lo adora, gli butta i baci e va in brodo di giuggiole perché l'altro lo considera. In questi giorni è venuto a trovarli anche il figlio del primo matrimonio del marito della mia amica, otto anni. Ieri li ho portati tutti al parco da sola e abbiamo giocato un sacco. Mi sono divertita quanto loro e quando siamo tornati a casa, be', un po' mi è dispiaciuto. Arrivati sotto casa mia il bimbo più grande mi ha detto: "Chiara, quando sono grande vengo a vivere a Empoli e ci sposiamo." Quando gli ho fatto notare che io sono già sposata, mi ha risposto: "In Italia è possibile divorziarsi. Tutto io ti devo spiegare?"

21 giugno 2007

Absolutely eighties

Oggi mi sento un po' retro. Ho cucinato il risotto alle fragole (con tanta menta) e ho messo in tavola l'insalata rucola e grana. Viste le temperature, da bere niente limoncello, ma un bel tè verde, menta e Lemongras (che credo in italiano si chiami citronella: mi sarò fatta un infuso allo zampirone?).

Nello stereo Syncronicity dei Police (allora non ascoltavo altro) e indosso un bel vestito da sedicenne, comprato stamani.

E' tutto uguale ad allora. Solo non sono più innamorata di lui



Sbaglia troppi congiuntivi.