28 giugno 2007

Amor ch'a nullo amato amar perdona


Come ho annunciato, sabato parto per la Germania. E’ dal novembre del 2005 che non ci metto piede e sono leggermente agitata. In tutte le storie d'amore, stare un po' separati fa bene, ravviva la fiamma e fa capire quanto si tiene all'altro. Ecco, la mia con la Germania è davvero una storia tormentata, di quelle che ci si lascia e ci si prende, si fa pace con passione, per poi litigare di nuovo e tornare a ricercarsi.

Quando vivevo a Friburgo non sopportavo la pioggia. Voglio dire, io sono una che ha sempre adorato le piogge nei pineti e i temporali, l'odore di muschio, di acqua in movimento e di terra bagnata, ma odio il Nieselregen (il mio Biermann chiama così Günter Grass, ci sarà pur una ragione), quella pioggerellina impalpabile (oddio quanto fa blog questo aggettivo), che non sai da che parte parare con l’ombrello, finché poi esci senza, tanto sai che ti bagni comunque. Quel cielo molto e sempre grigio che ti chiedi perché i bambini lo disegnano blu, le lumache sulla faccia, i capelli sempre in disordine e la muffa sotto le ascelle anche a luglio. Non mi dava fastidio che piovesse, ma che non smettesse mai.

E mi dava fastidio anche che nessuno rispondesse ai miei Guten Morgen e ai miei sorrisi, mi dava fastidio che la verdura avesse tutta lo stesso colore (beige stinto) e lo stesso sapore (di poliuretano espanso bollito), mi dava fastidio che il vicino mi rovistasse nella spazzatura per vedere se avevo fatto bene la Mülltrennung, mi dava fastidio che mi seguissero nei negozi fichi perché con l’aria da mediorientale che mi ritrovo temevano che facessi chissà cosa e mi dava fastidio anche il cambio di espressione della gente quando dicevo di essere un cervello in fuga e non un Gastarbeiterkind (parola intraducibile e oscena, corrispettivo vago di ‘figlio di immigrati’).

Ora che sono rientrata in Italia, noto però che sono tante anche le cose che rimpiango. Innanzi tutto l’ambiente multiculti. Il negozio d'antiquariato dei nostri amici afghani, col tè dell'Iran, le crocchette pakistane, qualche Kartoffelsalat, il vino francese, le empanadas argentine, le lenticchie indiane e gli americani simpatici. Non credo che dipenda dal fatto che vivo in un paesotto di 60.000 abitanti, tutta l'Italia è provinciale. Quelle belle facce bastarde da nippocrucco o da germocaraibico da noi sono solo sogni di Veltroni. Mi manca la meritocrazia tedesca, il rispetto per le cose degli altri e per quelle di tutti, mi manca l’università veramente libera (perché, ricordiamocelo, la libertà è prima di tutto partecipazione). Mi manca il Bärlauch in primavera, le gite estive nelle Sträusse, lo Zwiebelkuchen col Neuer Süßer in autunno e la brodaglia schifosa che chiamano Glühwein a Natale. Mi mancano la mostarda e il Meerettich nell'insalata, qualche Biowurst e persino gli Spätzle, che ho sempre visto come i cugini sfigati degli gnocchi. No, l'Apfelsaftschorle non ce la faccio a farmelo mancare. Mi mancano la puntualità delle Strassenbahn, i pantaloni verdi dei poliziotti che, per il mio bene, mi perquisivano il maggiolone ogni due-tre giorni, la flessibilità dei custodi delle biblioteche che, sempre per il mio bene, mi aprivano la borsa quattro volte al giorno e i baffi degli Hausmeister, un concentrato di rompicoglionimento a oltranza.

Ecco, sì, forse mi fa bene tornare in Germania, anche perché poi apprezzerò un po’ di più casa nostra.

(Colonna sonora del post: La lontananza di Modugno e L’Italiano di Cutugno)

rivoltatemi

il 28 giugno del 1991 avrebbe dovuto essere una data storica per me: avrei dovuto sostenere il mio primo esame all'università (tedesco I, con la belva sanguinaria Enrico De Angelis). il condizionale è d'obbligo, perché quella è diventata sì, una data storica nella mia vita, ma per ben altri motivi.

la mattina di quel 28 giugno partii in treno alla volta di Pisa e tornai in ambulanza. con la luce blu accesa (era sempre stato uno dei miei sogni di bambina girare per la città a sirene spiegate). operata d'urgenza, mi sciolsero tre nodi all'intestino (in medichese volvoli al sigma), già che c'erano mi estrassero anche l'appendice (che stava benone, mi è dispiaciuto un sacco) e mi tennero due settimane in osservazione. l'esame fu rimandato a settembre e il dottore mi disse che si vedeva che ero una che faceva sport e stava molto attenta a cosa mangiava, avevo davvero un intestino curato e morbido. e io (che avevo riaperto gli occhi dopo l'anestesia da giusto cinque minuti): l'ho sempre detto che sono bella dentro.


(non è proprio la stessa cosa, ma quant'è bello Javier Bardem!)

27 giugno 2007

come diceva qualcuno...

...beato il popolo che non ha bisogno di eroi.
soprattutto di questi.

viene davvero voglia di darsi al curling, o al tombolo, o di iscriversi al Verein der Kaninchenzüchter. o di emigrare, ma di certo non in Canada.

26 giugno 2007

Ostalgia Ostalgia canaglia



in procinto di partire per Berlino (l'ultima volta che ci sono stata ho scoperto di essere incinta, vediamo che mi tocca stavolta), ho rubato questa meraviglia. ringrazio walking class.

per chi non lo sapesse, Auferstanden aus Ruinen era l'inno nazionale della DDR. testo di Johannes R. Becher (brillante poeta espressionista emigrato in Unione Sovietica ai tempi della dittatura nazi, ebbe problemi perché trozkista, al rientro fece carriera come funzionario di partito e le muse smisero di baciarlo) e musica di Hanns Eisler (che lavorò con Brecht, Tucholski, Strittmatter, Hermlin, fu allievo di Schönberg e musicò poesie di Heine, Goethe, Majakowski e Leopardi).

la versione punk-rock è del gruppo Mia.

24 giugno 2007

Das Leben der Anderen



dai dai ho ceduto e l'ho visto. mi sono retta fino a ora, perché non amo guardare i film o leggere i libri che tutti osannano incondizionatamente. però ieri sera non avevo nulla da fare, il dring mi ha scaricato la versione in lingua originale, finalmente ho trovato la Ruhe necessaria e avevo una voglia incredibile di qualcosa che sapesse di ddr.

l'ho visto e non ne sono rimasta entusiasta.

come ha detto qualcuno, ecco, tu devi fare sempre la Chiara Jolie. certo, ho una reputazione da mantenere, una testolina purtroppo pensante (io ci provo a riciclarmi come velina, ma non mi riesce). e poi chi ha detto che sono bastiancontraria? mi disegnano così.

va da sé che non apprezzo il fatto che un regista Wessi, per quanto giovane e bravo, ci spieghi, da vincitore, da Besserwessi, l'Est.

poi non mi è piaciuto affatto il finale hollywoodiano. va bene essere romantici, ma è impossibile che uno dedichi il libro della riscossa alla persona che l'ha spiato. non è umano. chiedetelo un po' a Biermann (che a suo tempo ha scritto un blues con le targhe delle macchine degli Stasi-Spitzel che lo pedinavano. già che ci siamo, faccio notare che quella storia dell'artista che non produce più senza il nemico, la SED, l'abbiamo già sentita. Biermann arrivato all'Ovest stette un bel po' senza scrivere, dichiarò persino la sua morte come poeta perché gli mancava l'ispirazione senza il divieto. infatti Biermann drüben non poteva pubblicare, né apparire in pubblico, diversamente dal protagonista del film).

non mi piace nemmeno l'immagine naiv e buonista che in fondo si dà della Stasi. non c'erano spie buone, per fare carriera bisognava essere spietati, sceglievano apposta quelli che dimostravano di non avere un briciolo di coscienza. e poi, siccome erano cattivi ma non scemi, mai e poi mai avrebbero lasciato una persona sola a lavorare a un caso.

il poeta è un bamboccione. vezzeggiato e coccolato dal Partito, chiude gli occhi su tutto quello che succede attorno a lui. crede addirittura di essere l'unico artista non spiato dalla Stasi. si sveglia solo dopo che il suo migliore amico, perseguitato, si suicida. un caso patologico.

l'unica cosa davvero bella del film è la storia d'amore tra il poeta e l'attrice insidiata dal Parteibonze (sarò a senso unico, ma ci vedo dietro cose note. c'è chi dice che Biermann fu messo a tacere non tanto per quel che scriveva, ma per la sua storia d'amore con Eva Maria Hagen, madre di Nina, fantastica attrice e sogno di molti). passione pura. amore e morte. e tradimento.

23 giugno 2007

finiranno mai gli esami?



è tempo d'esami (non solo del sangue e delle urine, ultimamente vengo monitorata più del debito pubblico italiano). i miei amici insegnanti sono semidistrutti e i miei amici studenti vanno avanti a caffè.

visto che siamo in modalità amarcord (e visto che fa molto fico, sull'onda del film di Fausto Brizzi) oggi dedico dieci minuti del mio prezioso tempo ai ricordi legati ai primi esami importanti.

1985, terza C, scuola Media Cimabue. tre anni frai campi, da prima della classe allegra e sportiva (non era mai successo che la secchiona vincesse le gare provinciali sia di nuoto che di sci), agli esami ricordo che parlai della macchina fotografica (allora ero convinta che sarei diventata una regista di successo), di Piet Mondrian, della Russia (un prof di lettere molto realsocialista assegnò casualmente a me la ricerca sull'Urss, quando lo incontro ai concerti di Guccini ancora me lo ricorda), dei carboidrati e dei monomi, del Placito Capuano (sao ko kelle terre per kelli fini ke ki kontene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti), delle regole del fuorigioco nel calcio (anche se io avrei parlato più volentieri di Beccalossi), di Beethoven e di 99 Luftballons (in tedesco, natürlich). indossavo una maglia che mi ero fatta da sola, ai ferri, bianca con un'enorme fragola davanti. festeggiai alla Sagra della Chiocciola con la mia amica Vanessa e i miei compagni di banco Fensi e Scozzafava (poche battute stupide, oggi fa il finanziere).

1990, terza B, Liceo Classico Ginnasio Virgilio. cinque anni d'inferno, tra figli di papà, bambine viziate, insegnanti validi e molta invidia. ricordo l'esame di maturità come una liberazione, il giorno dopo che l'Italia era stata eliminata ai Mondiali dall'Argentina, con un gol in cui Canniggia si era preso gioco dei miei idoli Ferri e Zenga. esame molto sereno, rilassato, una chiaccherata sugli incipit foscoliani, sul trasumanar di Dante, che per verba significar non si porìa, sugli scrittori della cristianità latina e su Lucrezio. la prof di scienze venne a sentirmi con le borse della spesa in mano, il bidello cinquantenne - mulatto e napoletano - aveva al collo la sciarpa dell'Inter, mia madre annodava i lacci di una borsa che credeva mia (ma era della presidente della commissione d'esame) e mio padre, stranamente nervoso, girava in bicicletta intorno all'edificio della scuola. portavo una gonna blu a pois bianchi e una camicetta bianca messicana. ero ancora innamorata di Marco, un ex-fidanzato mezzo bolognese e mezzo siciliano, che viveva a Sorrento (lo avevo conosciuto l'anno prima a New York), studiava ingegneria e stravedeva per Nicola Berti. il giorno dopo partii per l'America, poi due settimane in Sardegna, un mese in Francia e l'estate più lunga della mia vita.

(Colonna sonora del post: la canzone di Nena nella prima parte ed El Diablo dei Litfiba nella seconda)

22 giugno 2007

il tempo delle mele



Visto che siamo in modalità anni Ottanta (mentre scrivo mi sono cotonata i capelli, ho messo l'ombretto sotto le sopracciglia e le spalle imbottite alla maglietta che uso per stare in casa), ripenso a un film che ha fatto sognare tutte noi adolescenti di allora: Il tempo delle mele. Una cagata pazzesca. Una mocciata (ricordo pure il seguito, con Pierre Cosso, quanto mi piaceva con la sua bella faccia da ritardato mentale miope) figlia del suo tempo. Dreams are my reality eccetera eccetera.

Oggi i ragazzini sono molto più svegli. Saranno le Braz che hanno sotituito le Barbie (immagino le generazioni future, cresciute con le Brazipe), gli ormoni nei polli, l'effetto Chernobyl, ma sono terribilmente più svegli di noi ragazzini degli anni Ottanta. Noi a quattordici anni sognavamo il principe azzurro, questi a otto anni sono molto più concreti.

Da quando è iniziata la bella stagione vado spesso al parco con la belva e con una mia amica che ha un figlio di tre anni. Il Capoccione lo adora, gli butta i baci e va in brodo di giuggiole perché l'altro lo considera. In questi giorni è venuto a trovarli anche il figlio del primo matrimonio del marito della mia amica, otto anni. Ieri li ho portati tutti al parco da sola e abbiamo giocato un sacco. Mi sono divertita quanto loro e quando siamo tornati a casa, be', un po' mi è dispiaciuto. Arrivati sotto casa mia il bimbo più grande mi ha detto: "Chiara, quando sono grande vengo a vivere a Empoli e ci sposiamo." Quando gli ho fatto notare che io sono già sposata, mi ha risposto: "In Italia è possibile divorziarsi. Tutto io ti devo spiegare?"

21 giugno 2007

Absolutely eighties

Oggi mi sento un po' retro. Ho cucinato il risotto alle fragole (con tanta menta) e ho messo in tavola l'insalata rucola e grana. Viste le temperature, da bere niente limoncello, ma un bel tè verde, menta e Lemongras (che credo in italiano si chiami citronella: mi sarò fatta un infuso allo zampirone?).

Nello stereo Syncronicity dei Police (allora non ascoltavo altro) e indosso un bel vestito da sedicenne, comprato stamani.

E' tutto uguale ad allora. Solo non sono più innamorata di lui



Sbaglia troppi congiuntivi.

20 giugno 2007

post on demand

ultimamente sono stata accusata da persone diverse di prendere troppo sul serio e la vita e la rete. pertanto non mi sento affatto in colpa per quel che sto per scrivere.

stamani sono stata in giro a fare shopping. ufficialmente perché la belva aveva bisogno di un paio di scarpe nuove (in ossequio al mio passato prossimo venturo gli ho comprato un paio di simil-Birkenstock, visto però che siamo italiani gli ho regalato anche degli sciccosissimi sandalini in pelle bianchi, di quelli chiusi e con gli occhi). ufficiosamente perché anche la mamma aveva bisogno di farsi due carezzine all'ego bistrattato, non solo dalle coliche renali.

ecco una parte del bottino di guerra:

camicetta blu con piccole ruches



camicetta a righe bianche e blu



pantaloni alla pescatora blu



abito blu con canotta da muratore (molto in)



con mia enorme gioia, il blu è tornato di moda (praticamente non si usava dall'ottantanove, forse ciò ha a che fare con la vittoria dello scudetto da parte dell'Inter).

è proprio bello, come si dice dalle mie parti, rientrare ne' mi' cenci (quasi taglia 42).

19 giugno 2007

ich verstehe nur Bahnhof


Oramai sono tre settimane che non sogno più che vado alla stazione, aspetto, ma non passa nessun treno.

Non voglio sapere cosa vuol dire, però che bello.

(Se i post avessero una colonna sonora, sarei indecisa tra Próxima estación: Esperanza di Manu Chao o l'intramontabile Locomotiva)

18 giugno 2007

Di interismi ignari 2

Visto che hanno perso la Liga per differenza reti e dopo essere stati primi quasi sempre, visto che sono stati fregati sul fotofinish da Capello e hanno rovinato tutto da soli alla penultima di campionato (pareggiando in casa con l'Espanyol)

loro

fanno sicuramente parte della schiera degli interisti ignari.

non a caso ne ho sposato uno (il più bello, ovviamente)

16 giugno 2007

è tutto calmo

Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E' tutto è calmo.

buona novella

era l'ora.

sono davvero contenta. eccetera eccetera.

Marlon Brando è sempre lui

Ci sono dei duri in giro. Duri soprannominati dai vicini Marlon Brando (e in effetti somigliano più al Marlon Brando di Fronte del Porto che non alla madre).



Questi duri a due mesi rifiutano la tetta, perché è da bambini piccoli, a quattro pretendono la pappa, a otto vogliono mangiare da soli e unicamente cose da mordere e masticare. Questi duri a un anno vogliono andare al parco non sul passeggino, ma tenendo per mano chi li accompagna (vediamo ancora per quanto), non vogliono baci, né il ciuccio in pubblico, ascoltano Mozart e i Manowar, non sopportano troppe moine da parte di nonne e zie e, quando la mamma se ne va, la salutano con un cenno del capo.

Stamani la casalinga disperata si è messa a passare l'aspirapolvere (cosa che fa di rado, visto che in genere ci pensa il dring, memore del suo passato filippino). Il duro era in un angolo, seduto sulle ginocchia, e ballettava (ma non troppo, è pur sempre un duro) al ritmo di "Sex Bomb", passato alle 9 dalla radio spagnola (la genetica non è un'opinione, evidentemente). Quando l'aspirapolvere è arrivato dalle parti del duro, che fino ad allora era rimasto impassibile e non aveva mostrato l'unico segno di cedimento che si permette, il labbrino, la casalinga disperata si è accorta che stava tremando. Col terrore negli occhi, il duro tremava, ed era bellissimo, forse addirittura più del solito. La casalinga l'ha preso in braccio, l'ha stretto forte forte, però non troppo a lungo, è pur sempre un duro, ed è passato tutto.

E Marlon Brando è sempre lui.

15 giugno 2007

Anonime paranoie delle notte


Venerdì sera solitario, stò davanti al pc, un pò di malinconia (nostalgia, rimpianto, tristezza) per la solitudine di queste ore randage e per il tempo andato (no, devo trattenermi, no che non ritornerà non lo scrivo), uno sguardo distratto (malizioso, anonimo, triste, abbattuto) và fuori dalla finestra e un sorriso sornione (ambiguo, furbetto, velato di nostalgia, anonimo) che spunta... Il cielo, le stelle, miei unici amici in questa notte senza luna, mi raccontano delle verità segrete (sfuggenti, leggere, silenti). La mia follia di essere umano un pò tradito (abbandonato, triste, in lacrime, incompreso) mi fa sentire dentro qualcosa di meraviglioso e unico: me stessa.
E ripenso a quella piccola bambina... che muoveva i primi passi sulla sabbia, coi suoi piedini teneri (cicciottelli, fragili, insicuri) per mano a mia madre allora ancora tanto bella (giovane, immacolata, innocente), e un brivido mi corre lungo la schiena: potrò mai tornare a quella pace (serenità, spensieratezza, superficialità)? Quel tempo andato (no, dai, Chiara, no, non scrivere che non ritornerà), quei sogni di bambina spaurita (innocente, semplice, sempre allegra)... Addio. Un addio tra lenzuola, magia, cuscino, atmosfera, respiri e brividi (di nuovo lungo la schiena).

Come dice Carmen Consoli (o Baricco, o Coelho, o Böll, o Hesse): il venerdì sera, se siete a casa da soli, non vi mettete a leggere blog a caso, rischiate di venire contagiati e scrivere delle cazzate immani. P.S. Caffè pagato a chi riconosce la citazione nascosta e repressa.

ecco

13 giugno 2007

Rinascere velina

Ne sono sempre più convinta, se rinasco, voglio fare la velina.

Almeno inizio a guadagnare presto, metto da parte i soldi della pensione e so da subito che a ventotto-trent'anni sono bell'e fuori dal giro. E non corro il rischio, come chi bazzica il mondo dell'editoria, di avere certa gente che mi fa concorrenza.

12 giugno 2007

repetita iuvant

chiaccherando con la Feather è venuta fuori un'altra autocitazione.

tempo fa eravamo veramente avanti.

Die Weltbestimmerin

Una volta la bimba in età da asilo di due miei amici messicani, abituata a fare tutto quello che le pareva, al compleanno di un altro bambino provò a mettere le mani nella torta. Io gliela tolsi di sotto e le dissi che così non si faceva, che doveva aspettare il momento giusto. Prima il festeggiato avrebbe spento le candeline, poi lei avrebbe avuto sicuramente un pezzo di torta tutto per sé e avrebbe potuto anche mtterci le mani dentro, sopra, sotto o dove voleva. Avrebbe potuto anche sputarci, tanto il piatto era suo e solo suo. Abituata com'era a non sentirsi dire mai di no, questa per lei fu un'esperienza del tutto nuova, illuminante direi.

Da allora, ogni volta che ci trovavamo da qualche parte, mi chiedeva il permesso per fare tutto. E diceva anche agli altri bambini di fare lo stesso, visto che io ero la Weltbestimmerin.



Non andate a cercarlo nel Sansoni, né nel Duden, Weltbestimmerin è un neologismo di sua invenzione, da Welt (cioè mondo) e bestimmen (vale a dire decidere, stabilire, ordinare) e probabilmente vuole dire qualcosa come quella che può decidere quello che vuole, dove vuole.

Siccome non ho mai sfruttato tali poteri, chiedo ai nostri affezionati lettori (che ci sono, lo sappiamo): cosa fareste al mio posto? Qual è la prima cosa che vi verrebbe da fare se poteste fare quello che vi pare?

Concorrenza sleale



Questa donna mi stava già poco simpatica di suo.

Ora ancora meno, visto che ho passato l'ultima mattinata in compagnia del dring (me lo ruba la perfida Albione per cinque lunghi giorni) a cercare le sterline avanzate dall'ultimo viaggio.

E poi una non deve essere gelosa. E' vecchia, brutta e pure stronza. Ma dico io...

11 giugno 2007

autoreferenzialità

mi capita spesso di dire che il Maestro ha già scritto tutto (anzi, TUTTO). c'è però da aggiungere che anche noi di Omfaloscopia siamo sulla buona strada.

oggi mi viene da citarci, mettendo un bel link a questo post.

e, mi raccomando, continuiamo a prenderci poco sul serio.

parenti immunofluorescenti

mi dispiace per chi ha sempre in bocca l'espressione 'parenti serpenti'. io ho la fortuna di non pensarla così. la sorella del dring e il marito se ne sono appena andati, dopo un fine settimana tutti insieme appassionatamente, e a me dispiace da morire.

mia cognata è bellissima e non sta mai né ferma, né zitta. è sempre allegra, e non perché ha un master in marketing d'impresa.
mio cognato (che fa l'elettricista e ciò giustifica, almeno in parte, l'aggettivo del titolo) è un tesoro. ieri ha insegnato a Leonardo a fare no col dito quando vede Alonso in tv. e mi ha messo sul cellulare la suoneria di 'Pazza Inter, amala'. così, quando suona, può anche farmi piacere.


(si chiama proprio così)

10 giugno 2007

Rose, parole e varia vermità

Stabilito che ultimamente come parlo vengo fraintesa, oggi scrivo qualcosa di terribilmente autoreferenziale. Omfaloscopico. Nabelschaubar. Per me. Lo capisco solo io e mi sta bene così. E vaffanculo a Jakobson.

Accanto allo schermo del pc avevo una rosa. Dentro a un vaso molto sbocconcellato, come piacciono a me. Dentro a questa rosa, non so come, viveva un verme. Ora, siccome le parole hanno la loro importanza, non so se chiamarlo verme, visto che secondo il De Mauro la parola può avere anche la seguente accezione:

fig., persona spregevole, vile, abietta: essere un v.; sentirsi un v., provare un profondo senso di rimorso, di vergogna o una netta sensazione di inferiorità nei confronti di qcn.

No, il mio era proprio un vermetto caruccio, un bachino, come si direbbe noi in Toscana, più o meno come questo


(a scanso di equivoci, dico che è una foto presa dalla rete, se qualche vermebaco di passaggio vi si dovesse identificare, non è lui. è il mio vermetto, la mia idea di baco e basta)

Ogni tanto, un paio di volte al giorno, il vermetto usciva dalla rosa, saltava sullo schermo del mio pc e si faceva un giro. Era divertente vederlo danzare sul bordo, scivolare, frenare, riprendersi con un equilibrismo e poi tornare nella sua rosa. Mi teneva compagnia. Chiamatela abitudine, addomesticamento, vezzo, o come vi pare (certo, come ha detto qualcuno, una rosa anche se la chiami con un altro nome ha sempre il suo profumo, anche i vermi e anche le abitudini), era bello sapere che c’era e basta. Anche se lui, in quanto verme, non aveva coscienza di sé. Ignaro di avere qualcosa dentro, non si sentiva. Niente di niente.

Ieri ho trovato solo il gambo della rosa. E, sotto, un po' di polvere. Il verme se l’era mangiata tutta. E se n’era andato. Lasciandomi della splendida cenere di rosa, ma portandosi via l’abitudine. Mi dispiace. Vorrei solo regalargli due righe del Piccolo Principe.

Quella dell’essenziale invisibile agli occhi è una gran bischerata. Ma è vero che il tempo che tu hai perduto per la tua rosa (o col tuo verme) ha reso la tua rosa (o il tuo verme) così importante. E speciale,
aggiungerei.

E in quanto speciale, e ignaro, mi sa che quel vermetto è pure interista.

Di interismi ignari

Da tanto tempo noi di Omfaloscopia abbiamo abbandonato le nostre rubriche. Quella sulle lezioni di seduzione perché veniva fraintesa, quella di consigli amorosi perché Donna Borghezia si è data alla macchia, quella delle bambole perché c'è chi ne fa di più carine.

Da oggi vorremmo inaugurarne una nuova. Avevamo pensato a crearne una di bei morettoni, ma rischiavamo che qualcuno ci chiedesse il copyright e poi, sinceramente, noi omfaloscopiche abbiamo i gusti talmente diversi che finiremmo sempre per postare solo foto di Lo Cascio (magari con scritto WANTED sotto, qualcuno sa che fine abbia fatto?) e dei miei capoccioni.

Ci siamo (pluralis molto majestatis, ma tanto la Feather mi vuole bene lo stesso) decise per la rubrica degli interisti ignari, cioè quelle figure o persone che bene o male, per il loro modo di essere, per quello che fanno, dicono, o subiscono, sono interiste. Spesso anche senza saperlo, o senza poterlo essere per motivi anagrafici, goografici o quelchecazzogliparici.

Il primo è lui



Alla faccia di quel milanistaccio di Claudio Bisio.

Parole, parole, parole

Dicevo l'altro giorno che le parole sono importanti. Molto. Sono pietre e possono far male a chi le dice senza brutte intenzioni, a chi le ascolta con le migliori intenzioni, a chi ci ride perché ha capito e a chi le sente per sbaglio e ci ricama sopra.
In questi giorni mi sembra di essere protagonista di una bruttissima commedia degli equivoci. In cui i cattivi sono vestiti da buoni, i buoni sono vestiti da cattivi e soprattutto i buoni non si capiscono tra loro, né si riconoscono come tali.
Beniamina e il suo ego dilatato si scusano. E non a prescindere, ma solo con certe belle persone, che le vogliono bene e a cui lei vuole bene. Molto. A entrambi in maniera completamente diversa, ma molto.

09 giugno 2007

Capre e cavoli



Consiglio la saga della famiglia Malaussène a chiunque non la conoscesse. E anche a chi la conosce già, a volte, non farebbe male rileggerla, questa storia di una tribù assurda e meravigliosa, che fa meraviglie con le parole e sogna.
Il capofamiglia, Benjamin, di professione fa il capro espiatorio. Quando qualcuno non sa a chi dare la colpa, o quando nessuno se la vuole prendere, entra in scena lui, che si prende parolacce e insulti per mestiere.
Lui lo fa perché ha una famiglia enorme da mantenere, e perché lo pagano bene.
Lui.

07 giugno 2007

Benvenuto

Dio è morto (si è suicidato)
Marx è morto (l'hanno ammazzato)
e lui

neanche un colpo di tosse

06 giugno 2007

auguri

What's a name? That which we call a Ross by any other name would smell as sweet.



Auguri alla nostra rosa gialla tra le rose rosa. Se non ci fosse, andrebbe inventata, come lo stracchino (rigorosamente su fette di polistirolo biologiche).

05 giugno 2007

Il nuovo Devoto-Marmugi



Diversi prima di me hanno detto che le parole sono importanti. Chi parla male pensa male. Non siamo noi a parlare, ma la lingua a parlare noi. Parole, parole, parole. Son quelli che distinguono parole da parole e sanno sceglier fra Mercuzio e Mina, che fanno i giocolieri fra le verità e le mode, fra Mina e fra Mercuzio son parole, non son frati (tutto, TUTTO).

Mi chiedo come fanno i bambini a sviluppare un pensiero coerente e corretto, quando tutti in famiglia parlano loro come se fossero deficienti? Il totto (cane che ha che non va? è anche corto, due sillabe, zac e via), il mommo (a me passerebbe la sete a sentire questa parola), si va a mimmi (a spasso, a zonzo, a giro, anche a bucopillonzi più volentieri che a mimmi).

Al Capoccione non parliamo assolutamente così. Anzi, quando al parco sentiamo qualche nonna o qualche mamma (i babbi e i nonni non ci sono mai, forse al parco si rischia di prendere l'orchite infettiva o la prostatite virale?) usare una di queste parole, guardiamo Leonardo e gli diciamo: australopiteco, sdrucciola, logaritmo, antanaclasi, acido desossiribonucleico. In almeno tre linge diverse.

04 giugno 2007

Ombelìcaro

Noto con rammarico che oramai ho un brillante futuro alle spalle. Non bado più nemmeno a quei pochi io sarò diventati per sempre io ero, né a certe sirene rauche e lontanissime.

Anche stamani mi hanno scritto da Berlino per avere delucidazioni su una poesia di Günther Kunert, Ikarus 64. E io ho risposto che non so più che dire. Che anche per me oramai Icaro cade in silenzio. E lontanissimo. Come in un vecchio quadro di Brueghel


(su questo quadro W. H. Auden ha scritto una poesia, tradotta in tedesco e in italiano da due persone cui tengo molto)

In realtà non ho nemmeno voglia di chiedere indietro Friburgo, i miei studenti e un dottorato che tu sai.
In realtà ho solo voglia di guardarmi l'ombelico.

03 giugno 2007

Incredibile

Oggi qualcuno mi ha lasciato senza parole.


Dissolvenza.

Libertà e palloncini colorati

Ieri l'altro ero a Pisa insieme a quella che è stata a lungo la mia allieva preferita ai tempi in cui insegnavo all'Università. Mi sconvolge pensare che si è appena laureata, lei che è stato il mio pulcino ai tempi delle Einführungen e delle Zwischenprüfungen. La mia turcocrucca preferita (ci accomunava la passione per Emre Belozoglu), la più bella fanciulla di Friburgo (e non perché si dice somigli a me), un'altra principessa senza scorta.

Le ho presentato il capoccione, si sono piaciuti moltissimo e il suo commento è stato: "Oh, Mensch, Chiara, sei mamma di una meraviglia. Sei MAMMA. Se me l'avessero detto l'ultima volta che ci siamo viste, giusto due anni fa, non ci avrei creduto. Te ne sei andata via tenendo in mano un palloncino a forma di cuore. Anzi, quel palloncino te l'eri legato all'orecchio."

02 giugno 2007

Cuore di mamma 2

Oggi a mezzogiorno Leonardo si è svegliato dal riposino preprandiale tra le urla. Non era mai successo e non c'era verso di calmarlo, né con Mozart, né col ciuccio (in genere bandito), né con Chomski e nemmeno con un pezzo di banana (in effetti mi ha guardato come dire: 'sei sicura che mi vuoi dare una cosa del genere prima di pranzo? ti rendi conto che stai infrangendo ogni regola educativa con cui cerchi di farmi crescere?', ho ignorato la mirada investigadora, bagnata dalle lacrime, ho pensato anche sim-sala-bim, ma non ha funzionato).

Urlava disperato (era ugualmente bello come il sole) e davvero non sapevo cosa fare. Ho addirittura pensato che fosse colpa mia. Certo, l'ho portato a pranzo con Galliani quando era ancora in pancia, dovevo aspettarmi che una crudeltà come questa prima o poi avesse le sue conseguenze.

Poi l'ho preso in braccio, gli ho sollevato la maglietta di Martins e gli ho fatto un grattino sulla schiena. Dopo un sospirone ha appoggiato la guancia di pesca sulla mia spalla, ha chiuso gli occhi e si è riaddormentato di botto.

E io ho pensato che al mondo non c'è cosa più bella di questa profumatissima palla di lardo.

01 giugno 2007

mio personale contributo alle vittorie nerazzurre

leggo sulla Gazzetta che la signorina Renata



aveva promesso che avrebbe fatto uno strip in tv se il Milan avesse vinto la Champions League. e l'ha fatto.

prometto ai giocatori dell'Inter che se l'anno prossimo non vincono nulla, mi spoglierò anch'io, davanti a loro. e li avverto che sono una di parola.