30 ottobre 2006
giovani italiani
non è tanto il fatto che inneggino al fascismo, disegnino svastiche e scrivano viva il duce nell'ora di lezione. la cosa veramente triste è che non sanno che se vivessero davvero sotto un regime fascista i primi a pagarne le conseguenze sarebbero loro.
28 ottobre 2006
25 ottobre 2006
amelia
capita che cadi, capita che non capisci, capita che ascolti la radio e una trasmissione sulla sindrome bipolare ti spiega tante cose (non tutto, l'ingiustizia della vita non te la spiega), capita che qualcuno ti dice cose che vorrebbe dire a se stesso, capita che ti fanno male comunque, capita che chiedi aiuto e trovi chi ti apre la porta, capita che con alcuni puoi parlare e con altri no, capita che per alcuni puoi parlare per altri no, capita che puoi parlare meglio con chi due mesi fa non esisteva nemmeno, capita che alcuni non hanno tempo (per guarire), capita che ti sei stufata di sentirti in colpa tu se qualcuno ti mente o ti aggredisce. capita che improvvisamente capisci che l'unica cosa che non devi perdere sei tu. capita che capisci che è il caso di camibiare rotta, volare più in alto. capita che l'oroscopo di questa settimana ti dice di non badare alle piccolezze, di volare, di essere come amelia earhart, protagonista di una delle tue canzoni preferite. amelia si è persa fra le nuvole. ma ne è valsa la pena. chi sta fermo è perduto comunque.
Maybe I've never really loved
I guess that is the truth
I've spent my whole life in clouds at icy altitude
And looking down on everything
I crashed into his arms
Amelia, it was just a false alarm
Maybe I've never really loved
I guess that is the truth
I've spent my whole life in clouds at icy altitude
And looking down on everything
I crashed into his arms
Amelia, it was just a false alarm
21 ottobre 2006
de putin madre!
19 ottobre 2006
parlare col muro
io leggo le scritte sui muri. quando abitavo a torino spesso mi capitava di leggerne di geniali, che poi finivano su muri&puri della stampa. secondo me alcuni le facevano apposta per finire sul giornale.
l'altro ieri passando in macchina davanti alla città universitaria ho visto questa scritta: io sono un mostro. tu sei un vigliacco. mi ha fatto riflettere per tutto il viaggio (lungo, visto il traffico post incidente nella metro). sul sesso dello scrivente. sui motivi per scrivere una cosa del genere. un assassino che denuncia se stesso e un complice? uno che voleva coniugare il verbo essere in modo bizzarro e poi si è scocciato o gli è finita la bomboletta? magari la prossima volta che ripasso trovo scritto egli è un pezzo di merda, ella è un mignottone, ecc. e perché non ha fatto i nomi? almeno quello del vigliacco? forse il vigliacco passa spesso di lì e sa che si parla di lui. forse non ha idea che si tratta di lui, non passerà mai di lì e vive nella convinzione, magari giusta, di essere tutto fuorché vigliacco. su un altro muro che vedo due volte a settimana c'è scritto che un certo carlo nonsocosa è un pappone. denuncia precisa, magari non vera o solo metaforica. ma queste accuse generiche e pesanti hanno un che di tragico e di universale. ho provato uno strano senso di gratitudine e di profonda pena per chi ha scritto quella cosa. gratitudine perché qualsiasi confessione, per quanto generica e anonima, è sempre da considerarsi un prezioso atto di fiducia. in questo caso fiducia nei confronti dei passanti, ma comunque fiducia è. pena perché c'è qualcosa di tragico in chi decide di lasciare a imperitura memoria, anche solo sua e di qualche passante tipo me, una immagine di sé così negativa. la denuncia del vigliacco che viene dopo non ha forza, e sta lì a sottolineare la violenza della confessione dell'io mostro più che la pusillanimità di questo tu.
in fondo un'accusa rivolta a un altro dice assai poco (e a volte proprio niente) dell'insultato e molto, moltissimo, dell'insultatore. ogni insulto è anche e soprattutto un'autodenuncia, un modo indiretto e a volte tragico di parlare sinceramente di sé.
l'altro ieri passando in macchina davanti alla città universitaria ho visto questa scritta: io sono un mostro. tu sei un vigliacco. mi ha fatto riflettere per tutto il viaggio (lungo, visto il traffico post incidente nella metro). sul sesso dello scrivente. sui motivi per scrivere una cosa del genere. un assassino che denuncia se stesso e un complice? uno che voleva coniugare il verbo essere in modo bizzarro e poi si è scocciato o gli è finita la bomboletta? magari la prossima volta che ripasso trovo scritto egli è un pezzo di merda, ella è un mignottone, ecc. e perché non ha fatto i nomi? almeno quello del vigliacco? forse il vigliacco passa spesso di lì e sa che si parla di lui. forse non ha idea che si tratta di lui, non passerà mai di lì e vive nella convinzione, magari giusta, di essere tutto fuorché vigliacco. su un altro muro che vedo due volte a settimana c'è scritto che un certo carlo nonsocosa è un pappone. denuncia precisa, magari non vera o solo metaforica. ma queste accuse generiche e pesanti hanno un che di tragico e di universale. ho provato uno strano senso di gratitudine e di profonda pena per chi ha scritto quella cosa. gratitudine perché qualsiasi confessione, per quanto generica e anonima, è sempre da considerarsi un prezioso atto di fiducia. in questo caso fiducia nei confronti dei passanti, ma comunque fiducia è. pena perché c'è qualcosa di tragico in chi decide di lasciare a imperitura memoria, anche solo sua e di qualche passante tipo me, una immagine di sé così negativa. la denuncia del vigliacco che viene dopo non ha forza, e sta lì a sottolineare la violenza della confessione dell'io mostro più che la pusillanimità di questo tu.
in fondo un'accusa rivolta a un altro dice assai poco (e a volte proprio niente) dell'insultato e molto, moltissimo, dell'insultatore. ogni insulto è anche e soprattutto un'autodenuncia, un modo indiretto e a volte tragico di parlare sinceramente di sé.
18 ottobre 2006
quando ti entra una canzone in testa
Help me
(Joni Mitchell)
1974
Help me
I think I'm falling
In love again
When I get that crazy feeling
I know I'm in trouble again
I'm in trouble
'Cause you're a rambler and a gambler
And a sweet talking ladies man
And you love your lovin'
But not like you love your freedom
Help me
I think I'm falling
In love too fast
It's got me hoping for the future
And worrying about the past
'Cause I've seen some hot hot blazes
Come down to smoke and ash
We love our lovin'
But not like we love our freedom
Didn't it feel good
We were sitting there talking
Or lying there not talking
Didn't it feel good
You dance with the lady
With the hole in her stocking
Didn't it feel good
Didn't it feel good
Help me
I think I'm falling
In love with you
Are you going to let me go there by myself
That's such a lonely thing to do
Both of us flirting around
Flirting and flirting
Hurting too
We love our lovin'
But not like we love our freedom
(Joni Mitchell)
1974
Help me
I think I'm falling
In love again
When I get that crazy feeling
I know I'm in trouble again
I'm in trouble
'Cause you're a rambler and a gambler
And a sweet talking ladies man
And you love your lovin'
But not like you love your freedom
Help me
I think I'm falling
In love too fast
It's got me hoping for the future
And worrying about the past
'Cause I've seen some hot hot blazes
Come down to smoke and ash
We love our lovin'
But not like we love our freedom
Didn't it feel good
We were sitting there talking
Or lying there not talking
Didn't it feel good
You dance with the lady
With the hole in her stocking
Didn't it feel good
Didn't it feel good
Help me
I think I'm falling
In love with you
Are you going to let me go there by myself
That's such a lonely thing to do
Both of us flirting around
Flirting and flirting
Hurting too
We love our lovin'
But not like we love our freedom
15 ottobre 2006
ultime da Pisa
13 ottobre 2006
e forse è per vendetta, e forse è per paura
o solo per pazzia, ma da sempre tu sei quella che paga di più, se vuoi volare ti tirano giù e se comincia la caccia alle streghe la strega sei tu
cantava una canzone di quando ero bambina.
come tutti sappiamo, cari amici omfaloscopici, è in corso il Mese Nazionale del Disprezzo Totale nei Confronti della Donna, con varie iniziative che si svolgono in tutta italia. violenze di vario genere si susseguono numerose. i cassonetti di ogni città sono stati addobbati all'uopo con mimose d'importazione.
mi ha colpito molto l'intevento di maria luisa busi ieri al tg1. non che abbia detto niente di nuovo (il silenzio è una seconda violenza, la paura di non essere credute, le battutine sarcastiche, il dubbio che sia tutta un'esagerazione o addirittura un'invenzione), ma ha parlato, ha detto quello che pensava lei, interrompendo la lettura delle notizie, nel corso del telegiornale più importante e più didascalico di questo paese in gran parte lobotomizzato.
anche per quanto riguarda la questione modelle anoressiche ecc., il nocciolo della questione è il disprezzo, il nocciolo della questione è che ci guardiamo con gli occhi degli altri, degli uomini, e ci odiamo. ci riflessivo e ci reciproco. siamo sempre e comunque, anche nei contesti in cui meno ce lo aspetteremmo, giudicate e valutate per il nostro ruolo sessuale. e se non ci sta bene siamo prive di senso dell'umorismo, siamo "isteriche". se diciamo no, se diciamo basta facciamo paura. ma sapere che chi aggredisce, chi deride, chi disprezza in fondo ha paura non è di grande conforto.
l'altro giorno parlavo con il mio medico curante, il saggio ubaldin dal ciuffo (mi han detto che ti piacciono i ragazzi col ciuffo mi han detto che ti piacciono i tipi come me ye ye ye è il nuovo inno di omfaloscopia) e ragionavamo sui massimi sistemi, come sempre, e sull'assenza di una forma di catarsi comunitaria nella società di oggi. un tempo una donna usciva tra i vicoli e urlava il suo dolore. penso al rito della taranta con una comunità che accetta la "pazzia" del dolore e la annienta. penso al finale di un film bellissimo come respiro. l'isteria, derisa e banalizzata dagli uomini e dalle donne stesse, era una richiesta di un abbraccio collettivo da parte della comunità. oggi non ci permettiamo più questi riti. sappiamo che l'abbraccio non verrà. sappiamo che tanto la comunità non c'è. scegliamo il silenzio. anzi, ci convinciamo che è una nostra scelta.
mi manca una conclusione. la lascio alla canzone di quando ero bambina: si dice amore, però no, chiamarlo amore non si può.
cantava una canzone di quando ero bambina.
come tutti sappiamo, cari amici omfaloscopici, è in corso il Mese Nazionale del Disprezzo Totale nei Confronti della Donna, con varie iniziative che si svolgono in tutta italia. violenze di vario genere si susseguono numerose. i cassonetti di ogni città sono stati addobbati all'uopo con mimose d'importazione.
mi ha colpito molto l'intevento di maria luisa busi ieri al tg1. non che abbia detto niente di nuovo (il silenzio è una seconda violenza, la paura di non essere credute, le battutine sarcastiche, il dubbio che sia tutta un'esagerazione o addirittura un'invenzione), ma ha parlato, ha detto quello che pensava lei, interrompendo la lettura delle notizie, nel corso del telegiornale più importante e più didascalico di questo paese in gran parte lobotomizzato.
anche per quanto riguarda la questione modelle anoressiche ecc., il nocciolo della questione è il disprezzo, il nocciolo della questione è che ci guardiamo con gli occhi degli altri, degli uomini, e ci odiamo. ci riflessivo e ci reciproco. siamo sempre e comunque, anche nei contesti in cui meno ce lo aspetteremmo, giudicate e valutate per il nostro ruolo sessuale. e se non ci sta bene siamo prive di senso dell'umorismo, siamo "isteriche". se diciamo no, se diciamo basta facciamo paura. ma sapere che chi aggredisce, chi deride, chi disprezza in fondo ha paura non è di grande conforto.
l'altro giorno parlavo con il mio medico curante, il saggio ubaldin dal ciuffo (mi han detto che ti piacciono i ragazzi col ciuffo mi han detto che ti piacciono i tipi come me ye ye ye è il nuovo inno di omfaloscopia) e ragionavamo sui massimi sistemi, come sempre, e sull'assenza di una forma di catarsi comunitaria nella società di oggi. un tempo una donna usciva tra i vicoli e urlava il suo dolore. penso al rito della taranta con una comunità che accetta la "pazzia" del dolore e la annienta. penso al finale di un film bellissimo come respiro. l'isteria, derisa e banalizzata dagli uomini e dalle donne stesse, era una richiesta di un abbraccio collettivo da parte della comunità. oggi non ci permettiamo più questi riti. sappiamo che l'abbraccio non verrà. sappiamo che tanto la comunità non c'è. scegliamo il silenzio. anzi, ci convinciamo che è una nostra scelta.
mi manca una conclusione. la lascio alla canzone di quando ero bambina: si dice amore, però no, chiamarlo amore non si può.
09 ottobre 2006
da portare con grazia
08 ottobre 2006
02 ottobre 2006
post con dedica
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